Spesso sottovalutata, a volte persino derisa, la laurea in Scienze della Comunicazione in Italia porta con sé una certa fama infondata: quella di percorso “facile”, privo di rigore o contenuti concreti. L’ironia ricorrente – “scienza delle merendine” – racconta bene il pregiudizio diffuso.
Eppure, in un mondo dove ogni gesto, parola, scelta o silenzio genera un messaggio, comunicare è diventato un atto complesso e altamente strategico. Le competenze richieste a chi lavora in questo settore sono trasversali e interdisciplinari: spaziano dalla semiotica al marketing, dalla psicologia alla comunicazione visiva, dalla scrittura professionale alla gestione di crisi reputazionali.
Non si tratta di improvvisare contenuti, ma di progettare relazioni, dare forma all’identità, leggere i segnali deboli della società. Saper comunicare non è una dote innata, ma una competenza da costruire, studiare e aggiornare.
Formazione e percezione: Italia e Stati Uniti a confronto
Negli Stati Uniti, i corsi di comunicazione sono tra i più frequentati e considerati. In particolare, all’interno delle università d’élite, la comunicazione viene vista come uno dei pilastri della leadership culturale e organizzativa. Il percorso formativo è fortemente orientato alla specializzazione: public speaking, media relations, comunicazione politica, digitale, inclusiva.
In Italia, sebbene sia uno dei corsi più scelti, la sua reputazione resta ambigua. C’è una distanza tra la realtà del mercato – che richiede figure in grado di gestire comunicazione interna, branding, reputazione online e storytelling – e l’immaginario collettivo che ancora riduce tutto a qualche post sui social.
Serve un cambio di prospettiva: la comunicazione non è intrattenimento. È un lavoro, una disciplina, una responsabilità.
Comunicazione d’impresa: da unidirezionale a multidirezionale
Le aziende non comunicano più solo al pubblico, ma con il pubblico. La relazione non è più lineare ma circolare, continua, dinamica. I canali si sono moltiplicati, così come le aspettative delle persone.
Questo ha trasformato la comunicazione d’impresa in un processo multidirezionale, che richiede ascolto, adattamento, coerenza. I brand non possono più semplicemente “dire”: devono leggere i contesti, prevedere le reazioni, scegliere i tempi giusti, calibrare il linguaggio. La comunicazione diventa così uno strumento strategico di posizionamento e relazione.
Reputazione e valori: un equilibrio sempre più fragile
Oggi si chiede alle imprese di prendere posizione. Su tutto: ambiente, diritti, equità, inclusione. Ma le posizioni devono essere percepite come autentiche, coerenti con la storia del brand e con l’identità che gli utenti gli attribuiscono.
Ecco perché comunicare oggi espone anche a nuovi rischi. Il caso Harley-Davidson, ad esempio, ha mostrato come un impegno in ambito DEI (diversità, equità, inclusione) possa entrare in conflitto con l’immaginario tradizionale costruito attorno al brand. Quando le aspettative dei clienti non vengono rispettate, il rischio è la crisi reputazionale.

Comunicare bene oggi significa sapersi muovere tra tensioni valoriali, aspettative sociali, istanze culturali. Serve lucidità, studio e consapevolezza.
Competenze strategiche per un contesto in trasformazione
In un mondo sempre più frammentato e iperconnesso, comunicare non è mai stato così complesso. Eppure, mai come oggi è necessario farlo. Non basta improvvisare. Serve formazione, metodo, capacità di analisi. Serve sapere dove si è, dove si vuole andare e come dirlo – nel modo giusto, al momento giusto, alle persone giuste.
È questo il cuore della comunicazione contemporanea: trasformare le parole in visione, i linguaggi in relazioni, le idee in identità.