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Giornalista, una specie in estinzione o regista dell’AI?

Negli ultimi anni, il tema dell’intelligenza artificiale (AI) ha monopolizzato le discussioni riguardanti il futuro di molte professioni, incluse quelle intellettuali. Non è insolito sentir dire che il giornalista, come lo conosciamo oggi, sia destinato a scomparire, spazzato via dall’automazione. Ma è davvero così? Recentemente, mi sono trovata a riflettere su questa domanda, spinta da una conversazione con un cliente che sosteneva che i giornalisti, nel giro di pochi anni, verranno sostituiti dall’intelligenza artificiale. 

Questo punto di vista, sebbene diffuso, mi sembra superficiale. Certo, l’AI sta già cambiando il modo in cui lavoriamo, ma può davvero prendere il posto delle professioni intellettuali? La mia risposta, in breve, è no. Come accadde con l’introduzione della fotografia e del cinema tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la tecnologia non distrusse le professioni esistenti, ma le trasformò. Non portò via né il pittore né il fotografo, anzi, fece evolvere entrambe le professioni, spingendole a livelli più elevati di creatività e professionalità. Oggi ci troviamo in una situazione analoga: l’AI non è una minaccia esistenziale per il giornalismo, ma uno strumento che, se ben utilizzato, può migliorare il nostro lavoro e permetterci di concentrarci su ciò che conta davvero.

Verso la selezione naturale delle professioni

Il giornalismo è molto più che la semplice scrittura di articoli. Ciò che rende questa professione unica è il “quid” che accomuna tutte le professioni intellettuali: la capacità di analisi, il pensiero critico, la ricerca della verità e la narrazione di storie. L’intelligenza artificiale può sicuramente aiutare nel processo produttivo, accelerando la scrittura e l’organizzazione delle informazioni, ma non può sostituire l’intuizione, la creatività e, soprattutto, l’etica del giornalista. 

Nel contesto giornalistico, l’AI può essere vista come un assistente che velocizza il processo di produzione, permettendoci di risparmiare tempo su attività meccaniche come trascrivere interviste o fare ricerche di base. Questo può essere particolarmente utile in una società come la nostra, in cui la richiesta di notizie è incessante e i tempi di reazione sono sempre più ridotti. Tuttavia, la differenza cruciale sta nel controllo finale: un articolo generato dall’AI può essere grammaticalmente perfetto, ma senza un occhio umano che ne valuti il tono, la veridicità delle fonti e la profondità dell’analisi, rischia di risultare superficiale o addirittura fuorviante.

La vera questione non è se l’AI possa eliminare posti di lavoro, ma piuttosto quale tipo di lavoro andrà a sostituire. Saranno quelle professioni che hanno operato per anni come catene di montaggio, svolgendo compiti ripetitivi e meccanici, senza evolversi. Nel giornalismo, ciò significa che chi si limita a riportare notizie senza aggiungere valore, chi non investe nel miglioramento delle proprie competenze e nel perfezionamento della propria scrittura, sarà probabilmente vulnerabile. Ma il giornalista che sa fare la differenza, che sa offrire un’analisi critica, che è capace di raccontare storie in modo avvincente e di interpretare la complessità del mondo, avrà sempre un ruolo.

Il giornalista come regista dell’Intelligenza Artificiale

Un altro aspetto da considerare è che, pur essendo un sistema potentissimo, l’intelligenza artificiale ha bisogno di input umani. Chi è che dà l’ordine all’AI di scrivere un articolo? Chi decide quali informazioni includere, su cosa concentrarsi e che taglio dare alla notizia? Sempre il giornalista. Senza l’intelligenza umana, l’AI non funziona. Gli algoritmi che rendono possibile la produzione automatizzata di contenuti sono creati, migliorati e alimentati dall’essere umano.

Il segreto sta nell’adattarsi e nell’utilizzare l’AI a proprio vantaggio. Come fecero grandi artisti del passato con l’arrivo del digitale, l’importante non è temere il cambiamento, ma abbracciarlo, dominarlo, e usarlo per spingere il proprio lavoro a livelli più alti. Pensa a registi come i fratelli Marx o a fotografi come Andy Warhol: anziché preoccuparsi dell’arrivo di nuove tecnologie, le hanno fatte loro, le hanno usate per esprimere la loro creatività in modo nuovo e innovativo.

Probabilmente ad estinguersi sarà il giornalista T-Rex, quello vecchio stampo, incapace di gestire la comunicazione web, riluttante ai social, lento nelle ricerche online, poco versatile nell’uso delle nuove tecnologie, inconsapevole e forse anche un po’ radical chic verso le nuove forme di linguaggio, quello che “ama l’odore di carta stampata di prima mattina”.

E partendo proprio dall’omaggio ad Apocalypse Now di Coppola, i grandi registi ci mostrano una cruda verità: la guerra non lascia spazio ai deboli. E nel mondo del giornalismo moderno, l’intelligenza artificiale sembra essere il nuovo campo di battaglia. Proprio come i soldati nel film, i giornalisti devono adattarsi o soccombere. Ma è davvero così? Siamo i dinosauri destinati all’estinzione, o i mammiferi che sopravvivranno e si evolveranno, dominando la nuova era dell’AI?

E se l’AI diventasse il nuovo stagista del giornalista?

In definitiva, non credo che l’AI rappresenti una minaccia per il giornalismo o per le professioni intellettuali, ma una sfida. È uno strumento potente che può automatizzare alcune parti del nostro lavoro, ma non può sostituire ciò che rende il giornalismo essenziale: l’intelligenza, la creatività e la capacità di raccontare il mondo. Sta a noi giornalisti decidere come vogliamo affrontare questa sfida: possiamo lasciarci sopraffare dalla paura di essere rimpiazzati, oppure possiamo sfruttare l’AI per crescere, per fare il nostro lavoro in modo più efficiente e per concentrarci su ciò che solo l’intelligenza umana può offrire. Se ci fermassimo a riflettere, potremmo considerarla invece come uno stagista: una risorsa potente, ma ancora acerba, pronta a essere guidata dall’esperienza di un mentore. Tante nozioni, senza una guida.

L’AI può accelerare il lavoro, automatizzare compiti ripetitivi, ma ha ancora bisogno di un tutor che ne indirizzi l’azione, ne valuti il contenuto e dia il tocco umano che nessuna macchina potrà mai replicare. La paura vera? L’intelligenza artificiale è come uno stagista ambizioso: può sembrare che sappia già tutto, in grado di produrre articoli in un attimo. Ma non lasciamoci ingannare dalla sua velocità. Sebbene l’AI possa farci paura, con la sua capacità di apprendere e adattarsi, non potrà mai sostituire l’esperienza e la formazione sul campo che solo un vero giornalista può offrire. In fondo, uno stagista può fornire supporto, ma il mestiere si impara con anni di pratica, intuizione e un profondo legame con la verità.

Tuttavia, per affrontare questa nuova sfida, abbiamo bisogno delle nuove generazioni in formazione. Questi giovani professionisti non solo porteranno freschezza e innovazione, ma saranno anche in grado di relazionarsi con la tecnologia in modi che noi, più esperti, potremmo non considerare. È fondamentale che i giornalisti di domani imparino a integrare l’AI nel loro lavoro, utilizzandola come uno strumento per potenziare la loro creatività e capacità analitica, senza dimenticare l’importanza dell’esperienza umana nella narrazione.

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