La Memoria è un bene prezioso, ma fragile. Ricordare il passato e farne un monito per il presente è una responsabilità collettiva, soprattutto in un periodo in cui il negazionismo e i discorsi d’odio prosperano sui social media.
Il 27 gennaio di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale di Commemorazione delle Vittime dell’Olocausto, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2005. La memoria della Shoah, già minacciata dal passare del tempo, si trova a dover affrontare ulteriori ostacoli. Uno su tutti: la disinformazione. Le teorie del complotto e i meme antisemiti rischiano di normalizzare un linguaggio pericoloso, svuotando di significato il ricordo storico.
La sottile linea tra rispetto e sensazionalismo
In un’era dominata dalla ricerca del consenso online, il rischio di trasformare temi delicati come l’Olocausto in un oggetto di marketing virale è concreto. Parlare di Memoria richiede responsabilità. Non si tratta, infatti, solo di “condividere” un contenuto, ma di utilizzare gli strumenti di comunicazione per stimolare una riflessione profonda e duratura.
Un esempio significativo è #WeRemember, promossa dal World Jewish Congress. La campagna invita gli utenti a pubblicare foto con l’hashtag per commemorare le vittime del’Olocausto. Attraverso il coinvolgimento diretto degli utenti, la campagna non solo mantiene vivo il ricordo, ma crea un senso di appartenenza collettiva.
Holocaust Challenge è, invece, un trend controverso emerso qualche anno fa su TikTok. Sulla piattaforma, infatti, gli utenti hanno iniziato a pubblicare video in cui si truccavano e si vestivano da vittime dell’Olocausto, spesso raccontando immaginarie storie personali ambientate nei campi di concentramento. Molti di questi contenuti erano accompagnati da effetti drammatici e colonne sonore emotive, con l’intento, secondo alcuni creators, di sensibilizzare sul tema.
Molti hanno accusato i partecipanti di banalizzare la tragedia della Shoah, riducendola a un contenuto virale per ottenere like e visibilità. Allo stesso tempo, il fenomeno ha aperto un dibattito più ampio sul ruolo dei social media nella memoria storica. Sebbene l’obiettivo di Holocaust Challenge avrebbe dovuto essere quello di sensibilizzare le nuove generazioni sul fenomeno, questo non giustifica l’approccio superficiale e, in molti casi, sensazionalistico con cui è stato trattato.
Educare alla Memoria attraverso i media
Parallelamente alle campagne, è fondamentale educare gli utenti a riconoscere e contrastare i contenuti di odio online. Progetti che coinvolgono scuole, università e organizzazioni no-profit possono offrire strumenti pratici per interpretare il linguaggio digitale, distinguere le fonti affidabili e rispondere in modo efficace ai discorsi discriminatori.
L’uso di storytelling visivo, infografiche e documentari brevi crea contenuti memorabili, capaci di lasciare un segno duraturo. Iniziative come il Treno della Memoria a cui, ogni anno, sempre più studenti prendono parte, rendono la memoria un’esperienza partecipativa e immersiva a 360°.
Un esempio di questo potere evocativo è il documentario “LILIANA”. Presentato lo scorso anno al Festival del Cinema di Roma e diretto da Ruggero Gabbai, il docu-film ripercorre la testimonianza della senatrice a vita Liliana Segre. Un racconto storico che s’intreccia con il ritratto contemporaneo di una delle figure più influenti della cultura italiana.
Il futuro della narrazione
Le campagne di comunicazione hanno un duplice compito. Da un lato preservano il ricordo degli orrori del passato. Dall’altro, l’uso dei social media trasforma il ricordo in un messaggio di resilienza e resistenza contro l’odio. Parlare di queste tematiche sulle piattaforme non è un esercizio visibilità, ma un atto di responsabilità collettiva.
La rinuncia di Liliana Segre all’evento al Memoriale della Shoah di quest’anno ci ricorda che il tempo non aspetta. Tocca a noi raccogliere il testimone della memoria. La stanchezza della senatrice a vita non è solo fisica. Rappresenta, infatti, il peso di una missione che non può essere lasciata nelle mani di pochi. La sfida è far sì che questa memoria non solo sopravviva, ma diventi un motore per costruire una società più consapevole.